Molta tradizione del film giallo è fatta dalle coppie di poliziotti: quello alla vigilia del pensionamento e l'altro imberbe alle prime armi, quello scafato fino al cinismo e l'altro imbranato ma provvidenziale nella sparatoria finale. Uno - come in questo TRAINING DAY - che in nome di un determinato pragmatismo finisce per impregnarsi della medesima corruzione dei delinquenti che combatte; e l'altro che riesce a mantenersi entro i confini della legalità, ad avere ragione della perversione senza abdicare alle regole dello stato di diritto.

All'interno dei suoi schemi in parte risaputi, TRAINING DAY è allora l'illustrazione di un itinerario morale. Ripulito di certe lunghezze, convenzioni e pure improbabilità dovute alla sceneggiatura, incollato all'osso della mutazione bravamente evidenziata dall'interpretazione (recentissimo Oscar che, stranamente, l'uscita nostrana non si cura di sottolineare) di un Denzel Washington che dal cinismo bonario evolve alla perversione feroce, il film dell'onesto Antoine Fuqua aveva le carte in regola per atterrare nei lidi di riflessione dei TAXI DRIVER, o di certe desolate dissertazioni di Sidney Lumet o Brian de Palma. L'ineluttabilità di una situazione aneddotica che, meglio espressa, avrebbe potuto riflettere la critica a tutto un sistema mantiene il film su dei livelli più che accettabili. Fuqua ottiene il meglio dal proprio mestiere: il confronto fra Washington e Ethan Hawke è costantemente rilanciato dall'attenzione della cinepresa, l'ambiente è spesso molto significativo (poche volte l'incombere della tensione sociale delle periferie metropolitane è stata resa con tanta efficacia), l'unità drammaturgica (l'evoluzione delle psicologie si compie sull'arco di una giornata) è evidente. Incapace di filmare l'ambiguità, TRAINING DAY ne illustra le conseguenze; ed è già qualcosa